lunedì 25 novembre 2013

Collegamento 1e. L' incontro con la Psicologia Transpersonale.


...continua
Da “Spunti per una lettura transpersonale dell’opera teatrale” – Prima Parte di P. L. Lattuada M. D., Ph. D.
L'esperienza transpersonale in teatro.
Come l’attore scompare a se stesso per offrirsi al personaggio e il personaggio, per fare grande l’attore deve, come il sale nell’oceano, rendersi all’archetipo che lo anima, nel gioco cosmico della vita, un essere umano integro, sarà in grado di riconoscere e trasformare i propri bisogni disidentificandosi dagli stessi, di riconoscere e accettare amorevolmente i propri limiti ma anche di autorizzarsi a trovare la forza e il coraggio necessari per trascenderli. Sarà in grado di volere ma allo stesso modo di sottomettersi ad una volontà che lo trascende, forte ma capace di debolezza, fiero di sé ma umile e modesto, capace di dire si e di dire no, di accogliere e respingere, donare e ricevere. Un essere umano che può trovare nello spazio sacro della rappresentazione, il temenos adatto a recitare la sua interezza, l’atanor dove purificare il piombo delle proprie passioni con il fuoco catartico della drammatizzazione tragica, il metallo impuro dell’importanza personale, espressa nella parodia narcisistica di Sé, esposta dalle maschere della commedia al proscenio del rispecchiamento popolare, nell’oro dell’archetipo. Archetipo che l’attore, incarnato nel bene e nel male, nelle risonanze con il Sé o nelle interferenze dell’Io, reso al sacrificio di Sé offre, con mestiere, al servizio della divinità. Offre consapevolmente al Nous che fa capolino dietro ogni personaggio, ai mille volti dell’eroe a volte vituperato nel cattivo, altre osannato nel salvatore, altre misconosciuto nel servo, invidiato nel vincitore, temuto nel demone, rifuggito nel folle, negato nel debole, brutto, sporco e cattivo, esorcizzato nel mago, potente e misterioso. Egli, facendo bene sul palcoscenico ciò che ha da imparare nella vita, parafrasando Eduardo De Filippo, può insegnare a se stesso e allo spettatore che in lui si rispecchia, l’arte del dono di Sé.
La capacità di lasciarsi andare oltre se stessi e di liberare, in uno spazio protetto, i propri eroi e i propri demoni, le proprie passioni e le proprie virtù, la capacità e la necessità di navigare l’oceano della coscienza. Recuperando quell’anelito all’estasi la cui repressione è ritenuta da molti una delle fonti principali del disagio della civiltà odierna; reintegrando in Sé, agendole, le divinità che abitano le altezze e le bassezze dell’animo umano, quelle divinità che, cacciate dalla coscienza, come direbbe Hillman, si sono riversate nella materia diventando malattie.
Ne conseguirà una società dove, similmente alla compagnia sul palcoscenico, ad  un orchestra musicale o alle cellule del nostro organismo, inizieremo ad agire nel rispetto di noi stessi e dell’ambiente, guidati da un’intuitiva e immediata consapevolezza del bene comune. Seppur inconsapevoli dell’interezza del disegno svolgeremo la nostra parte sentendoci al nostro posto nella nostra unicità, assolutamente diversi e allo stesso modo totalmente interconnessi, come un dito della nostra mano, un’onda dell’oceano.


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