sabato 30 novembre 2013

Movimento 11



L'immaginazione è più importante della conoscenza. La fantasia più importante del sapere. 
(Albert Einstein)

Pillole. 8


Terza Sintesi. Palco e Hierofania.

Perché il palco?
Come accennato nelle prime due sintesi il palco è uno spazio privilegiato di studio, allenamento, prova e relazione, nonché un luogo per il Sacro, così come ogni luogo sacro è uno spazio di rappresentazione e rituale. Il palco è uno spazio di scoperta, di gioco, di comunicazione ed è anche un Altro Spazio e un Altro Tempo. E’ un luogo di responsabilità, di passaggio, di manifestazione, è contemporaneamente significante e significato, è simbolo, è uno spazio offerto per la cosmogonia, gestazione e nascita di altri mondi, in cui questo si comprende e si rivela. Vedere il Mondo stesso come Palco, significa fare della vita stessa un Atto Sacro, e passare dalla Prima Attenzione alla Seconda Attenzione. Il personaggio con cui l’attore (inteso come l’artista dell’istante) entra in relazione è il pretesto e contesto di questo approccio, lungi dall’alienazione e dalla rappresentazione stereotipata.

Intendiamo qualsiasi tipo di palco e il teatro che qui proponiamo come Hierofania, per dirla con Mircea Eliade, ovvero come “spazio di manifestazione del sacro”. Il sacro è legato direttamente al concetto sopra espresso del meglio di noi, del Sè che pulsa col tutto, lo emana, lo rivela e ne è trasformato. Il sacro non è inserito in contesto religioso, ma certo riverbera nel re-ligare con l’altro da noi, il trascendente, il versante scordato, il mistero, il mito, l’archetipo, l’umanismo del divino in noi, possibili Poeti dell’Invisibile. Cosa intendiamo per Invisibile?
Quando abbiamo parlato, nelle precedenti sintesi, di Osservazione e Sensibilità, dei livelli dell’essere umano e dei piani della realtà, stavamo introducendo il concetto di Invisibile.

L’allenamento dello Sguardo o Osservazione e della Sensibilità, porta all’ampliamento esponenziale della percezione della realtà, partendo dal piccolo, dal semplice, dal minimo e dal non manifesto, facenti parte di ciò che esiste tanto quanto ciò che possiamo vedere e toccare. Non parliamo solo degli aspetti energetici, esoterici, misterici, trascendenti della vita, ma ovviamente anche quelli infinitesimali della materia, quindi della fisica, in prospettiva quantistica, con le sue onde i suoi salti quantici, con il vuoto e con tutto ciò di cui percepiamo l’esistenza ma che è appunto in-visibile, prima fra tutti l’Aria, che allo stato puro è invisibile, ma anche il sentimento, il passato, il futuro, il lontano, semplificando: l’immaginario.  L’esercizio fondamentale che ci dobbiamo permettere prima di tutto e quello, infatti, dell’immaginazione. Senza immaginazione non possiamo neanche iniziare a “visualizzare” l’aria che attraversa il nostro corpo, né pensare un modo diverso di agire, né comprendere l’altro e ovviamente proporci Miti e Archetipi da attualizzare o gesti da spiritualizzare, non siamo in grado né di creare alternative né di accedere a nuovi spazi. 


lunedì 25 novembre 2013

Pillole. 7


Seconda sintesi. La legione.
Andiamo a spiegare. Quando diciamo che ognuno di noi è una “legione”, possiamo comprendere la citazione biblica e possiamo facilmente capire, a livello intellettuale, che siamo composti da diversi istinti, archetipi, personalità in potenza che respirano insieme nella nostra bolla personale, nel nostro DNA, se vogliamo (caratteristiche primarie), e insieme a ciò che siamo divenuti grazie al nostro ambiente (presente), storia personale (passato legato al familiare, sociale e cosi via), e ai nostri obbiettivi, aspettative e sogni (futuro). Ognuno ha la propria natura, ogni individuo è differente ma tutti siamo accomunati da emanazioni archetipiche o, usando Jung, dall’inconscio collettivo. Tutti noi siamo esseri contenuti tra cielo e terra, tra il divino e il demoniaco, tra l’amore e la paura della morte.

Detto questo, ogni individuo può essere considerato un ventaglio, dove ogni spicchio o raggio è un punto di acceso, una caratteristica, un Mito, un Essere. “Più conosco il mio ventaglio, e quali parti di esso sto effettivamente utilizzando nella mia esistenza terrena, e più sarò in grado, in un percorso di Consapevolezza, di accedere e utilizzare altri raggi per la mia comprensione dell’altro, dei miei meccanismi, delle mie relazioni, avendo cosi la possibilità di agire su quei punti d’interruzione del flusso, transe cronicizzati, carma ricorrenti o anche semplicemente quei disagi o piccolezze che mi caratterizzano e che possono essere gli oggetti del mio desiderio di miglioramento, evoluzione, cambiamento”. E’ ovvio che più si va avanti nello studio e nella scoperta dei vari raggi, spesso grazie al pretesto della relazione con l’altro, nel caso teatrale col personaggio, più il lavoro su stessi diventa impegnativo, difficile, stancante ma anche infinitamente ricco di soddisfazioni, stupori e irradiazioni di gioia, di estasi… Per un attore, il lavoro è sul proprio ventaglio e su quello di ogni personaggio, e ad esso direttamente proporzionale.

In questo senso la nostra esistenza si amplifica a dismisura, noi che siamo esseri perfettibili ma mai perfetti e magnificamente migliorabili, cioè tutti in grado di trarre il meglio da questo passaggio terreno (oltre ogni Credo) e di restituire, in relazione, il meglio di ciò che ognuno di noi può essere. Questo “meglio” di cui parliamo è quel superlativo relativo alla bolla di ognuno, alla legione di ognuno, quindi ricco di consapevolezza e assolutamente privo di giudizio, ossia le due condizioni primarie per la responsabilità che dona libertà e senso alla nostra esistenza, quelle che Pier Luigi Lattuada chiamerebbe La Libertà di stare dove non staresti mai e, la Libertà dal Conosciuto.



Pillole. 6


Seconda Sintesi. L' artista creatore. 
La realtà è in divenire, se noi ci ri-colleghiamo fisicamente, mentalmente, energeticamente, spiritualmente al flusso della vita e lasciamo la nostra respirazione danzare con lo Pneuma cosmogonico nel qui ed ora del nostro stato ordinario possiamo farci artisti creatori di ogni istante della nostra vita, possiamo essere gli scultori della nostra personalità, delle nostre relazioni e saremo capaci di stupirci, all’accorgerci che stiamo costantemente rivelando a noi stessi, e al mondo, nuove forme di vivere, di respirare, di essere, grazie alle maschere sacre di cui ci facciamo portatori nel nostro continuo rituale di presentazione al mondo. La recitazione in questo caso diventa pretesto e punto  di partenza dello studio sull’essere umano e su noi stessi per propiziarci questa possibilità di stupore, di curiosità e accettazione verso i meandri più oscuri e quelli più luminosi della nostra anima, ci renderà capaci di essere in contatto e relazione con ogni pulsazione della nostra legione personale ampliando cosi il nostro ventaglio di esistenza.






Collegamento 1e. L' incontro con la Psicologia Transpersonale.


...continua
Da “Spunti per una lettura transpersonale dell’opera teatrale” – Prima Parte di P. L. Lattuada M. D., Ph. D.
L'esperienza transpersonale in teatro.
Come l’attore scompare a se stesso per offrirsi al personaggio e il personaggio, per fare grande l’attore deve, come il sale nell’oceano, rendersi all’archetipo che lo anima, nel gioco cosmico della vita, un essere umano integro, sarà in grado di riconoscere e trasformare i propri bisogni disidentificandosi dagli stessi, di riconoscere e accettare amorevolmente i propri limiti ma anche di autorizzarsi a trovare la forza e il coraggio necessari per trascenderli. Sarà in grado di volere ma allo stesso modo di sottomettersi ad una volontà che lo trascende, forte ma capace di debolezza, fiero di sé ma umile e modesto, capace di dire si e di dire no, di accogliere e respingere, donare e ricevere. Un essere umano che può trovare nello spazio sacro della rappresentazione, il temenos adatto a recitare la sua interezza, l’atanor dove purificare il piombo delle proprie passioni con il fuoco catartico della drammatizzazione tragica, il metallo impuro dell’importanza personale, espressa nella parodia narcisistica di Sé, esposta dalle maschere della commedia al proscenio del rispecchiamento popolare, nell’oro dell’archetipo. Archetipo che l’attore, incarnato nel bene e nel male, nelle risonanze con il Sé o nelle interferenze dell’Io, reso al sacrificio di Sé offre, con mestiere, al servizio della divinità. Offre consapevolmente al Nous che fa capolino dietro ogni personaggio, ai mille volti dell’eroe a volte vituperato nel cattivo, altre osannato nel salvatore, altre misconosciuto nel servo, invidiato nel vincitore, temuto nel demone, rifuggito nel folle, negato nel debole, brutto, sporco e cattivo, esorcizzato nel mago, potente e misterioso. Egli, facendo bene sul palcoscenico ciò che ha da imparare nella vita, parafrasando Eduardo De Filippo, può insegnare a se stesso e allo spettatore che in lui si rispecchia, l’arte del dono di Sé.
La capacità di lasciarsi andare oltre se stessi e di liberare, in uno spazio protetto, i propri eroi e i propri demoni, le proprie passioni e le proprie virtù, la capacità e la necessità di navigare l’oceano della coscienza. Recuperando quell’anelito all’estasi la cui repressione è ritenuta da molti una delle fonti principali del disagio della civiltà odierna; reintegrando in Sé, agendole, le divinità che abitano le altezze e le bassezze dell’animo umano, quelle divinità che, cacciate dalla coscienza, come direbbe Hillman, si sono riversate nella materia diventando malattie.
Ne conseguirà una società dove, similmente alla compagnia sul palcoscenico, ad  un orchestra musicale o alle cellule del nostro organismo, inizieremo ad agire nel rispetto di noi stessi e dell’ambiente, guidati da un’intuitiva e immediata consapevolezza del bene comune. Seppur inconsapevoli dell’interezza del disegno svolgeremo la nostra parte sentendoci al nostro posto nella nostra unicità, assolutamente diversi e allo stesso modo totalmente interconnessi, come un dito della nostra mano, un’onda dell’oceano.


Collegamento 1d. L'incontro con la Psicologia Transpersonale.


Da “Spunti per una lettura transpersonale dell’opera teatrale” – Prima Parte di P. L. Lattuada M. D., Ph. D.

L’esperienza transpersonale in teatro.

Rivolgere l’attenzione al percorso evolutivo della coscienza significa rivolgere l’attenzione dentro di noi, interiorizzare il processo, riabilitare l’esperienza interiore, il grande dimenticato della nostra cultura tecnologica nel bel mezzo dell’era informatica post-moderna. Operazione che il teatro, con la sensibilità sufficiente, è chiamato a svolgere da protagonista. Esperienza interiore significa, fermarsi, osservare, restare in contatto, lasciare fluire, cogliere l’unità di tutte le cose, qualità che l’attore sviluppa per dovere, ma che è chiamato a restituire per amore, amore per Sé, per il teatro, per i propri simili. Lezione che egli apprende ogni giorno nel gioco incessante delle parti, nel dialogo partecipativo tra le varie sub-personalità che lo abitano, tra colui che giace dietro le quinte e colui che presenta se stesso sul palcoscenico, colui che mostrandosi si nega e travestendosi si mostra, colui che a volte crede al sogno della rappresentazione, altre si sveglia e si riconosce fare sul serio, molto sul serio. Colui che recita e ripete ciò che ha da imparare, che impara senza lasciarlo vedere. Colui che: “lo spettacolo continua”, oltre se stesso, oltre ogni sipario, oltre ogni dietro le quinte, che volge l’ansia in desio e la timidezza in ostentazione, colui che recita su palcoscenico della vita, ciò che ha appreso nel laboratorio della rappresentazione.
Lezione che nella vita ordinaria insegna il superamento dei confini che ci separano, dell’individualismo che ci contrappone, dell’importanza personale che ci rende schiavi dei bisogni dell’Io, dell’identificazione emotiva, la peste emozionale come la definiva W. Reich, che ci cronicizza sotto il giogo della storia biografica. Atteggiamento che prefigura un individuo e una società ad alta sinergia, cioè organismi che funzionino naturalmente e spontaneamente insieme, distaccati dal proprio Ego, in armonia con il tutto.  La sinergia, infatti, come ci ricorda Russel: “non comporta alcuna coercizione o restrizione né è provocata da sforzo deliberato. Ogni elemento individuale del sistema funziona in direzione dei propri fini, e i fini stessi possono essere svariati. Eppure, gli elementi funzionano in modo che sono spontaneamente di mutuo sostegno. Di conseguenza, il conflitto intrinseco è scarso o nullo”.

Lezione che il teatrante conosce per professione e alla quale aderisce per mestiere, pena l’insuccesso. Lezione, che portata nella vita, si rivela in grado di favorire un salto nel nuovo modello evolutivo individuale e sociale che conduce verso l’interno, verso quei territori del Sé dove risiede l’essenza, la vera natura dell’essere che guarda con occhi animati dalla coscienza dell’unità.
Così facendo l’esperienza teatrale si affianca all’esperienza interiore fondata sulla meditazione e sulle antiche e moderne tecnologie del sacro, all’esperienza transpersonale favorita dalle nuove psicoterapie integrali, all’ispirazione poetica e alla creazione artistica, al volontariato sociale, alle prassi ecosostenibili di varia natura, al consumo equo e solidale, in rotta verso quella nuova rivoluzione che ci piace chiamare transpersonale. Una rivoluzione della coscienza che sta conducendo l’umanità dall’esterno all’interno, dall’individualità separata, alla parte illimitata, dalla coscienza razionale che delimita i confini alla coscienza dell’unità che sperimenta l’unione con il tutto, dalla diversità personale alla consapevolezza dell’essenza, secondo un modello che non nega l’Io ma lo trascende e include in un contesto più ampio dove l’ego individuale viene messo al suo posto, non al centro del nostro universo interiore, ma in rotazione intorno alla pura essenza, al nostro centro unificante interiore.